l presidente del Comitato Interprofessionale dei Vini di Borgogna, Laurent Delaunay, denuncia la difficoltà delle imprese del vino francesi di essere più vicine ai reali fabbisogni, anche in termini comunicativi, dei consumatori.
Di Fabio Piccoli
A parlare così non è un produttore “qualsiasi”, ma Laurent Delaunay, presidente del Comitato interprofessionale dei vini di Borgogna, nonché rappresentante della 5a generazione di produttori nella più prestigiosa denominazione francese.
Nel 1995, con la moglie Catherine, anche lei enologa, fondano Badet Clément con l’obiettivo di produrre vini premium (con un’impostazione fortemente consumer oriented) nel sud della Francia.
Il loro marchio, Les Jamelles, rappresenta oggi uno dei brand più importanti del Pays d’Oc, ed è esportato in 55 Paesi. Possiedono diverse aziende vinicole e vigneti (150 ettari) in Borgogna, Beaujolais, Rodano, Provenza e Languedoc.
Insomma, si può considerare Delaunay uno dei più attenti e autorevoli osservatori del vino in Francia.
L’ho ascoltato durante un suo intervento il 27 ottobre scorso a Tolosa, nell’ambito dell’”European Wine Day”. Una giornata decisamente interessante, organizzata dall’Arev (l’Assemblea delle Regioni Europee Viticole, in collaborazione con Iter Vitis e Recevin), che ha consentito di fare il punto sulle principali problematiche produttive e di mercato del vino.
Tra gli interventi più rilevanti sicuramente quello di Delaunay che, come si dice in gergo, è “andato giù pesante”.
“Sui mercati sta succedendo qualcosa che non ho mai vissuto prima nei miei oltre trent’anni di esperienza nel mondo del vino. Praticamente ovunque – ha sottolineato Delaunay – vi sono segnali negativi. Fino ad oggi c’era sempre una parte del mondo che andava bene, ma questo non sta succedendo oggi, con ordini in calo praticamente in ogni mercato”.
“Se osserviamo l’attuale evoluzione dei consumi di vino – ha aggiunto Delaunay – praticamente funziona solo quello che esce da un frigo, bianchi, rosé, sparkling e rossi leggeri, tipologie in sintonia con le nuove modalità di consumo e la destrutturazione dei pasti”.
Per Delaunay, in una situazione di questo genere “è fondamentale la nostra capacità di resilienza, di adattarci anche e soprattutto ai cambiamenti della società che si sta evolvendo sempre più velocemente con mode che cambiano in continuazione e che spesso vanno contro alla dinamiche del nostro settore che ha, inevitabilmente, tempi lunghi”.
“In Francia – ha spiegato Delaunay – è da ormai vent’anni che il vino vede perdere quote di mercato, ma abbiamo fatto troppo poco per limitare questa tendenza. In generale, ritengo che noi produttori europei abbiamo fallito nella capacità di leggere questa realtà che si evolveva. Noi in Francia, in particolare, continuiamo a guardare la realtà come piace a noi produttori e non ascoltiamo invece quello che ci chiedono i consumatori. Discutiamo un sacco tra noi, perdiamo tanto tempo guardando solo noi stessi, raccontandoci che abbiamo ottime organizzazioni di rappresentanza quando invece sono troppe e dispersive e questo ci porta a ritardare sempre decisioni di grande importanza”.
“Negli USA, ad esempio – ha aggiunto Delaunay – l’attività di lobbying della filiera del vino funziona molto bene e non si disperdono in decine di organizzazioni professionali, ma con il solo Wine Institute sono in grado di dialogare direttamente con le istituzioni pubbliche”.
Quale, allora, la ricetta proposta da Delaunay? “Innanzitutto, dobbiamo dire basta a considerare tutti i vini come prodotti culturali. Abbiamo esagerato su questo fronte e ci siamo fatti superare dal nuovo mondo”.
“La narrazione che abbiamo fatto del vino fino ad oggi – ha evidenziato Delaunay – implica un processo culturale dei consumatori che non tutti sono in grado di fare. La nostra comunicazione di fatto ha intimorito moltissimi consumatori. La stessa enfatizzazione dell’origine dei vini che ha portato la Francia a passare dal 27% di vini con indicazione geografica dei primi anni ’50 al 90% attuale è stata probabilmente eccessiva”.
“Ci sono tanti consumatori – ha detto Delaunay – che non sono necessariamente interessati all’origine di un vino, ma ricercano un vino di qualità media, al prezzo giusto, attraverso un messaggio semplificato”.
“È fondamentale mettere insieme enologia e marketing, serve empatia nei confronti dei consumatori che manca, purtroppo, a molti produttori francesi. Ed è un peccato perché sono convinto – ha concluso Delaunay – che si possano realizzare vini molto francesi, ma anche molto vicini ai fabbisogni dei consumatori senza perdere la loro identità originaria. Dobbiamo quindi produrre recuperando empatia con i consumatori”.
In conclusione, mi sento di affermare che sono in gran parte d’accordo con le osservazioni del Presidente del Comitato Interprofessionale di Borgogna, anche se sono convinto che si possa essere empatici nei confronti dei consumatori utilizzando il linguaggio giusto anche nel parlare di cultura, di origine, di identità.
Il rischio della banalizzazione, infatti, è sempre dietro l’angolo e per il vino sarebbe la fine.
Fonte: https://www.winemeridian.com/approfondimenti/i-produttori-di-vino-francese-devono-essere-piu-empatici-nei-confronti-dei-consumatori/?utm_source=ActiveCampaign&utm_medium=email&utm_content=Wine+Meridian+Today+-+I+produttori+di+vino+francese+devono+essere+pi%C3%B9+empatici+nei+confronti+dei+consumatori&utm_campaign=Wine+Meridian+Today+-+3+Novembre+23&vgo_ee=%2F1esQVAR9dAn8QbuKyB4sl%2Bu%2FynAjdG4Kq2426mW98mmr2O5zbA%3D%3AVHIkwsd2BoJ4OPYwdAR670QGK2u5pAEA